Ofena 16-17 Aprile

Misericordia il nome del nostro Dio

Carissimi amici siate i benvenuti. In questo incontro  vorrei che gustassimo l’abbraccio del Padre che aspetta il figlio che ritorna, la tenerezza del Pastore che ci trova e ci mette sulle sue spalle, la gioia della vedova che ritrova la moneta perduta.,

Penso che non siete venuti qui a cambiare aria, o ha fare una giornata di vacanza. Questi due giorni devono essere giorni di studio e di meditazione, di incontro con Dio e di incontro tra di noi, spazio libero per vedere le luci e le ombre del nostro cammino.

Quindi questo è un tempo di grazia. Dio ci ha convocati. Non è, non può e non deve essere  considerata una casualità stare qui insieme.

 

  1. Verso la XXXVI Tendopoli.

Questa prima comunicazione-relazione desidera offrirvi alcune linee guida  per   prepararci  alla XXXVI Tendopoli che ha per tema IN TENDA PER MISERICORDARE. In concreto vedremo:

  • perché la parola misericordia è quasi del tutto assente nella cultura predominante
  • quale è il significato biblico della parola. (Catechesi)
  • come e dove poter sperimentare la misericordia. (Liturgia)
  • come, dove e perché dobbiamo testimoniare la Misericordia. (Carità)
  • Questo ultimo punto lo vedremo nella seconda relazione.

 

  1. Un fatto incontestabile

Il mio professore mi diceva se ti dovessero chiamare a dire quattro parole, per  tre parole e mezza parla della misericordia di Dio e il tempo che ti rimane di tutte le cose che ti abbiamo insegnato.  Sono convinto infatti, che  se si volesse, sarebbe possibile riassumere tutto il Vangelo sotto il titolo della misericordia. Infatti la parola  ‘misericordia’ è diventato il termine-chiave del presente Pontificato, e con questo messaggio Papa Francesco ha toccato i cuori di moltissime persone nella Chiesa cattolica e fuori di essa. Chi di noi non è bisognoso di misericordia e di uomini misericordiosi?

 

  1. Misericordia: parola trascurata e rifiutata

Se ripenso alla mia infanzia e al concetto che avevo di Dio, lo pensavo un Dio giudice, severo, che teneva un grande libro su chi scriveva i miei errori, e poi, nel giorno del giudizio, mi avrebbe punito. Era un Dio quasi vendicativo. Non un Dio misericordioso.

Spesso ne ho dato la colpa alla Chiesa, ed è innegabile che ha le sue responsabilità avendoci presentato un Dio come giudice severo; studiando e crescendo, ho notato che la misericordia era un concetto “rifiutato” da alcune “tendenze filosofiche” che di fatto l’hanno eliminata dal vivere sociale. Da quando  il filosofo moderno per eccellenza, Immanuel Kant affermò che  l’etica deve essere guidata non da emozioni, come la misericordia e la compassione, ma dalla stessa coscienza del dovere morale, siamo arrivati a filosofie di tipo marxista o socialista, che sospettano che la misericordia sia un sostituto della giustizia.  Abbiamo tutti sentito il grido: “Non vogliamo misericordia, no, vogliamo giustizia”, vogliamo i nostri diritti! Non vogliamo uno Stato o un imprenditore, che ci faccia misericordiosamente l’elemosina, no, abbiamo diritto a uno stipendio giusto!”

Certamente è bene che il nostro sistema politico sia basato sull’ideale della giustizia e ne siamo grati a chi ha reso possibile questa evoluzione. Però il nostro sistema economico e sociale è basato anche sulla competizione. In esso non c’è spazio per la compassione e la misericordia. Prevale il più intelligente che ha più successo, domina spesso il più forte o il più furbo, che ha la capacità di imporsi contro gli interessi degli altri e non si cura degli altri. “Spesso – afferma Kasper- prevalgono nella nostra società tendenze sociali darwiniste, cioè il diritto del più forte e l’affermazione senza riguardi dei propri interessi egoistici”. La Parola di Gesù nel suo Discorso sulla Montagna: «Beati i misericordiosi», suona strana in questo contesto. Non ci possiamo più meravigliare della ideologia “nazista che inculcava il disprezzo dei deboli, degli handicappati, delle cosiddette razze indegne della vita quando Nietzsche considerava la misericordia, come espressione di debolezza, indegna dell’uomo signorile (Herrenmensch) forte e duro”.  Siamo tutti testimoni del degrado del valore della vita. Bambini uccisi, vecchi abbandonati, ragazze e ragazzi violentati etc. (a braccio altre attualizzazioni)

  1. La medicina della misericordia

In questo mondo malato occorre la medicina della misericordia. Già Papa Giovanni XXIII, nel suo discorso di apertura del Concilio Vaticano II, ha detto: «Oggi la Chiesa preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità». Il futuro Papa Giovanni Paolo II che visse il terrore della Seconda Guerra Mondiale, la dittatura nazista e comunista in Polonia, sperimentò cosa significa vivere in una situazione d’ingiustizia, di mancanza di diritto e di misericordia. In tale situazione ha scoperto di nuovo l’importanza della misericordia biblica e ha promulgato la sua seconda enciclica del suo Pontificato sul tema della misericordia, Dives in misericordia. Come risposta ai terrori del secolo scorso, Papa Benedetto ha approfondito questo messaggio nella sua enciclica Dio è amore. Adesso Papa Francesco ha fatto della misericordia il tema centrale e fondamentale del suo Pontificato. Anche in lui c’è un fondo di esperienza personale.

L’attualità e la risonanza che ha questa parola in questo momento storico, ci stimola a scavare nella tradizione del pensiero umano per una risposta alla nostra situazione. Le radici della misericordia sono scritte nel cuore dell’uomo. Anche se la parola “misericordia” è specifica della Bibbia.

In quasi tutte le religioni dell’umanità si trova la cosiddetta ‘regola d’oro’: «Ciò che non vuoi che sia fatto a te, non farlo ad un altro», o nella sua formulazione positiva: «Ciò che vuoi che sia fatto a te, fallo anche all’altro». Questa ‘regola d’oro’ è un’eredità di tutta l’umanità. Essa è una regola di empatia, che chiede di oltrepassare il proprio io, di mettersi nella situazione dell’altro e di agire come io desidererei che l’altro agisse in tale situazione con me.

La parola misericordia è anche presente nel corano, ogni Sura coranica (tranne un’eccezione) inizia con l’invocazione di Alla onnipotente e tutto-misericordioso. Tuttavia l’idea di un Dio che, in ragione della sua misericordia, si abbassa fino al punto di diventare uomo e morire sulla croce, è inimmaginabile per l’Islam, anzi essa viene fortemente rifiutata e considerata in stretta contraddizione con la trascendenza assoluta di Dio.

 

  1. La misericordia nel vecchio testamento.

L’apice della rivelazione antico-testamentaria della misericordia di Dio si trova nel profeta Osea. Egli visse e operò in una situazione drammatica. Alla drammaticità della situazione corrisponde la drammaticità del suo messaggio. Il popolo ha infranto l’alleanza ed è diventato una prostituta disonorata. Perciò, Dio ha rotto con il suo popolo e ha deciso di non mostrare più nessuna misericordia al popolo infedele. Il suo popolo non è e non sarà più il suo popolo (Os 1,6-9). Tutta l’alleanza pare finita, e non s’intravvede più alcun futuro. Poi avviene la svolta drammatica: «Il mio cuore si rivolta contro di me». Più correttamente è opportuno tradurre: Dio capovolge la propria giustizia, per così dire, la getta via. Il posto dello sconvolgimento annientatore è preso dallo sconvolgimento all’interno di Dio stesso. La sua compassione esplode e in Lui la misericordia prevale sulla giustizia. La motivazione di questo sconvolgimento manifesta tutto l’abisso del mistero divino: «Perché sono Dio e non un uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira» (Os 11,9).

Con quest’affermazione sorprendente s’intende ciò: la santità di Dio, il suo essere totalmente diverso da tutto l’umano, non si manifesta nella giusta ira e neppure nella sua trascendenza inaccessibile e insondabile all’uomo. L’essere di Dio si manifesta nella sua misericordia. La misericordia è espressione della sua essenza divina. La misericordia lo distingue completamente dagli uomini e lo eleva al di sopra di tutto l’umano. Essa è la sua sublimità e la sua sovranità. Il profeta Michea dice: «Egli si compiace di manifestare il suo amore» (Mich 7,18).

 

  1. Misericordia nel Nuovo Testamento

Al centro del messaggio di Gesù sta il messaggio di Dio come Abbà, Padre. Vorrei ricordare la bellissima parabola di Gesù del figliol prodigo, che piuttosto dovrebbe essere chiamata parabola del padre misericordioso (Lc 15,11-32). È commovente: il padre aspetta il figlio e gli va incontro. Dio aspetta, ci aspetta, ci viene incontro, ci abbraccia e restituisce al suo figlio prodigo tutti i suoi diritti di figlio. Dio, in modo tutto speciale, ci è venuto incontro con la missione del suo unico Figlio, che si è abbassato ed è divenuto uomo fino alla morte sulla croce (Fil 2,5-11). Il crocefisso è l’immagine concreta della misericordia di Dio. Si può ricordare anche la parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37). Questa parabola dimostra un’inversione e conversione della prospettiva, un vero cambiamento del paradigma. Alla domanda: «Chi è il mio prossimo?», Gesù non risponde con una deduzione da alti principi, ma immagina la situazione di un uomo che soffre e che non può più essere d’aiuto a se stesso, un uomo che io trovo e incontro in mezzo alla strada. Quest’uomo sofferente è l’interpretazione della volontà concreta di Dio per me.

In Gesù Dio stesso per la sua misericordia è venuto al nostro posto. In quanto era Dio, la morte non prevalse su di lui. Così, per mezzo della sua morte ha distrutto la morte e la vita ha vinto (cfr. la liturgia pasquale). Gesù Cristo ha sacrificato la sua vita affinché noi possiamo vivere.

Normalmente, nella cultura predominante, il colpevole deve essere condannato a morte, però noi, grazie alla misericordia di Dio, siamo condannati alla vita. Siamo assolti, liberati dalla morte e chiamati alla libertà cristiana (Gal 5,1). Così il messaggio della misericordia tocca il centro della teologia e della soteriologia e, possiamo anche dire, tocca il centro della nostra esistenza umana e cristiana. In nessuna situazione umana, neppure nella situazione della nostra morte, possiamo cadere più in profondità quanto nelle mani di Dio misericordioso. La Lettera agli Efesini riassume tutto ciò nelle parole: «Dio è pieno di misericordia» (Ef 2,4).

 

  1. Misericordia, il nome del nostro Dio

A questo punto non ci meraviglia più l’espressione di Papa Francesco: Misericordia, il nome del nostro Dio.  Il Concilio Vaticano II ha affermato che l’ateismo nelle sue diverse forme è uno dei problemi più seri, perché l’ateismo e l’agnosticismo delle masse sono un fenomeno recente della civiltà occidentale secolarizzata, ma il Concilio ha anche aggiunto che di esso i Cristiani hanno una colpa (GS 19-21). Infatti, come dice il Concilio, spesso abbiamo oscurato l’immagine di Dio. Spesso abbiamo annunciato unilateralmente il Dio giusto che punisce e talvolta abbiamo disegnato l’immagine di un Dio della vendetta, e abbiamo piuttosto sottovalutato il messaggio di un Dio misericordioso, che nella sua misericordia non vuole la morte del peccatore, ma la vita. Abbiamo sovraccaricato l’immagine del Dio vivente, che cammina con il suo popolo ed è presente in ogni situazione, con idee speculative sull’immobilità di Dio, che non sono sbagliate, ma, intese unilateralmente, hanno allontanato Dio dalla vita.     

La Bibbia ci dice: «Dio è amore» (1 Gv 4,8), cioè comunicazione di se stesso. Prima di tutto, Dio è comunicazione di se stesso nella Trinità. Dio non è un Dio solitario, il Dio trinitario è comunione. L’aspetto esteriore di quest’amore e di questa comunicazione in se stessa è la misericordia. Essa è la fedeltà di Dio a se stesso, che è amore. Poiché Dio è fedele a se stesso, Egli vuole comunicare il suo essere prima nella creazione, poi nella storia della salvezza; Egli non può fare altrimenti che perdonare e dare una nuova chance a ogni peccatore che si pente e si converte. La misericordia diventa così lo specchio della Trinità e, secondo San Tommaso d’Aquino, essa è la prima proprietà di Dio. Nella sua misericordia Dio apre il suo cuore e ci lascia guardare nel suo cuore.

L’affermazione: «Dio è misericordia» significa che Dio ha un cuore per i miseri. Egli non è un Dio, per così dire, sopra le nuvole, disinteressato al destino degli uomini, ma piuttosto si lascia commuovere e toccare dalla miseria dell’uomo. Egli è un Dio compassionevole, un Dio ‘simpatico’ (nel senso originale di questa parola). Noi dobbiamo portare almeno un debole raggio della misericordia divina nel buio del mondo.

 

  1. La Chiesa, sacramento della misericordia

Se Dio è misericordia dove incontriamo e come incontriamo la misericordia?  E’ evidente e spero che sia a tutti chiaro, che la Chiesa è il luogo della misericordia. Il Concilio Vaticano II ha definito la Chiesa come un sacramento di Cristo, cioè segno e strumento di Cristo (LG.1). Così la Chiesa è anche sacramento, ossia segno e strumento della misericordia di Cristo. Essa nella sua dimensione visibile, sociale e istituzionale deve rappresentare e rendere visibile il Cristo misericordioso. In questa prospettiva si capisce qual è lo scandalo per cui la Chiesa spesso viene considerata, talvolta anche denunciata, non misericordiosa, ma piuttosto dura e severa.

Fu in ragione della sua genialità spirituale che Papa Giovanni XXIII disse nel suo famoso discorso all’inizio del Concilio Vaticano II: «Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando». Con queste parole il Papa diede inizio non solo al Concilio, ma anche all’orientamento pastorale postconciliare. Papa Paolo VI ha confermato questa scelta e ha continuato su questa scia. Nella sua ultima allocuzione al Concilio ha detto che il comportamento del buon samaritano è la spiritualità del Concilio. Papa Giovanni Paolo II ha pubblicato la sua seconda enciclica sulla misericordia. Così Papa Francesco, con l’Evangelii gaudium, è in ottima continuità con il Concilio e i suoi predecessori. ‘Misericordia’ è il termine-chiave del suo Pontificato.

C’è una triplice missione della Chiesa riguardo alla misericordia. La Chiesa deve predicare la misericordia, deve celebrare la misericordia nella liturgia dei sacramenti, soprattutto nel sacramento della misericordia, nel sacramento della penitenza e nella liturgia eucaristica, e deve praticare la misericordia nella sua prassi pastorale.

La pastorale misericordiosa non va confusa con una pseudo-misericordia, cioè con una prassi pastorale di compiacimento e di un cristianesimo light e a buon mercato.  Nella misericordia la Chiesa si presenta come Madre misericordiosa, la cui casa è sempre aperta ai suoi figli, una Chiesa dalle porte aperte e non dai ponti levatoi chiusi. Una chiesa che cammina a fianco all’uomo pellegrino nella storia

Non mi dilungo a descrivere e presentare i sacramenti come luogo della misericordia, solo formulo un’espressione di sintesi che spero renda chiara la funzione della Chiesa: La Chiesa come Gesù si fa pellegrina, viandante dell’uomo contemporaneo, ascoltando la sua parola si prende coscienza dei propri limiti (tardi di cuore nel credere nelle scritture) – la confessione.  Nel restare a cena, nel vivere l’Eucarestia, trova la forza per andare “ senza indugio” a testimoniare la misericordia, che consiste nel gridare Dio è risorto.

Essere  eucarestia nel frantoio dell’esistenza è diventare misericordia. Come fare lo vedremo nella prossima relazione

  1. Francesco

CI IMPEGNAMO…..

CELEBRANTE: Siate soprattutto uomini. Fino in fondo, anzi, fino in cima. Perché essere uomini fino in cima significa essere santi. Non fermatevi, perciò, a mezza costa: la santità non sopporta misure discrete. E, oltre che essere Tendopolisti, siate esperti di cattolicità attiva: capaci, cioè, di accoglienze ecumeniche, provocatori di solidarietà planetarie, missionari “fino agli estremi confini”, profeti di giustizia e di pace. E più che tesserati, siate distributori di tessere di riconoscimento per tutto ciò che è diverso da voi, disposti a pagare con la pelle il prezzo di quella comunione per la quale Gesù Cristo, vostro incredibile amore, ha donato la vita

TESTIMONI: Ci impegniamo noi e non gli altri unicamente noi e non gli altri, né chi sta in alto né chi sta in basso, né chi crede né chi non crede. Ci impegniamo senza pretendere che altri s’impegnino, con noi o per suo conto, come noi o in altro modo. Ci impegniamo senza giudicare chi non s’impegna, senza accusare chi non s’impegna, senza condannare chi non s’impegna, senza disimpegnarci perché altri non s’impegnano. Ci impegniamo perché non potremmo non impegnarci. C’è qualcuno o qualche cosa in noi, un istinto, una ragione, una vocazione, una grazia, più forte di noi stessi.

SENTINELLE: Ci impegniamo per trovare un senso alla vita, a questa vita, alla nostra vita, una ragione che non sia una delle tante ragioni, che ben conosciamo e che non ci prendono il cuore. Si vive una sola volta e non vogliamo essere “giocati” in nome di nessun piccolo interesse. Non ci interessa la carriera, non ci interessa il denaro, non ci interessa la donna o l’uomo se presentati come sesso soltanto, non ci interessa il successo né di noi né delle nostre idee, non ci interessa passare alla storia.

TESTIMONI Ci interessa di perderci per qualche cosa o per qualcuno che rimarrà anche dopo che noi saremo passati e che costituisce la ragione del nostro ritrovarci. Ci impegniamo a portare un destino eterno nel tempo, a sentirci responsabili di tutto e di tutti, ad avviarci, sia pure attraverso un lungo errare, verso l’amore.

SENTINELLE: Ci impegniamo non per riordinare il mondo, non per rifarlo su misura, ma per amarlo; per amare anche quello che non possiamo accettare, anche quello che non è amabile, anche quello che pare rifiutarsi all’amore, poiché dietro ogni volto e sotto ogni cuore c’è, insieme a una grande sete d’amore, il volto e il cuore dell’amore.

TUTTI: Ci impegniamo perché noi crediamo all’amore, la sola certezza che non teme confronti, la sola che basta per impegnarci perpetuamente.

Primo Mazzolari