Stralci della relazione di Massimo Toschi

 

<<Permettetemi di dire che bisogna abbattere le barriere architettoniche anche nelle chiese>> ha esordito Toschi <<Ho avuto una presentazione solenne, ma la mia storia non comincia bene. Comincia nella prima metà di agosto del 1945. Come voi sapete in quei giorni in un attimo vennero cancellate Hiroshima e Nagasaki con la bomba atomica e in un paesino vicino a Lucca Massimo (io) ebbe la poliomelite. Di poliomelite si moriva in quei giorni. Io sono stato fortunato ma la mia famiglia è stata segnata per sempre da questa malattia. Che se ne sarebbero fatti i miei genitori di questo bimbo fragilissimo che non sarebbe potuto stare in piedi? Loro che erano senza una macchina e non poterono portarmi nemmeno in ospedale. Se vogliamo fare un discorso sulla famiglia dobbiamo parlare delle famiglie ferite. Proprio mentre venivo qui leggevo un testo di papa Francesco che parla delle “ferite della famiglia” e delle “malattie nelle famiglie”. Ragazzi non esistono famiglie perfette, esistono spesso famiglie ferite e malate. Provate anche oggi voi a fare un viaggio tra le vostre ferite. Quanti tra di voi hanno ferite e malattie a cui fanno fatica a dare un nome, a riconoscere. Io sono una persona sposata, sono vedovo e ho una figlia suora a Catania. Ma vivo a Lucca. Nonostante i miei mi proteggessero sempre, mi buttarono nella mischia e mi mandarono in una scuola pubblica. Per fortuna mia madre mi ha sempre buttato in mare aperto, con tanti rischi, con tante preoccupazioni. Ho fatto il liceo classico e la mia classe si trovava al secondo piano: dovevo fare 72 scalini a salire e 72 a scendere. Ma l’ho fatto come disabile, con la schiena torta. Io ho fatto una vita normale ma quanti disabili si sono sposati in Italia? Ho provato a fare una ricerca, ma non ci sono numeri significativi. Non ci sono coppie di persone, sociologicamente rilevanti, da sempre disabili. C’è un problema. Perché, con quale sguardo io guardo la mia compagna o il mio compagno? Se non c’è lo sguardo dell’amore io non lo vedo>>.

Tornando alla sua vita Toschi ha ricordato la sua adolescenza. <<Le ragazze mi volevano tutte bene, perché ero molto bravo a scuola, ma quando si doveva fare una passeggiata nessuno sceglieva me. Dico queste cose perché ciascuno conosce le sue disabilità. Era il 1965, quando mia madre mi disse: “Ti ho preso un biglietto per Lourdes”. Io ero al mare e quasi avevo una ragazza. Ma partii lo stesso. A Lourdes, io che pensavo che il mio dolore era assoluto e inconsolabile, ho incontrato una quantità di persone smisurata malata. C’era un patire che io neanche immaginavo. Il mio compito lì era quello di mettermi al servizio degli altri. Ho decentrato il mio dolore per incontrare il dolore degli altri. Questo è stato il miracolo avvenuto a Lourdes. Questo è ciò che vi invito a fare nelle vostre famiglie: mettere al centro il dolore degli altri. Il vero passaggio per me è stato Lourdes, ma non perché ho visto la Madonna, ma perché lì ho incontrato il dolore degli altri. E allora non vi chiudete in voi stessi perché rischiate di essere spazzati via>>.

<<L’ultima volta che sono andato a Lourdes era il 1966>> ha ripreso il racconto <<Erano le undici di sera e stavo pregando. Ero seduto per terra quando arriva un frate che mi batte sulle spalle e mi dice: “Guarda ho pregato per te, so per certo che tu diventerai prete perché hai questo segno nella carne”. In quel momento ho capii che mi sarei sposato. Era una profezia alla rovescia. Poche settimane dopo incontrai mia moglie, una persona straordinaria che mi ha visto con gli occhi di Dio. Dopo questa stagione turbinosa dei vent’anni con questa donna straordinaria mi sembrava che tutto si fosse risolto. E’ nata anche Sara. Ma quando Sara aveva tre anni a mia moglie hanno diagnosticato un tumore alle ossa. Io avevo un problema alle ossa e ora anche mia moglie. Ci siamo ritrovati in questa stagione delle ferite e delle malattie. Dopo cinque anni di terapie molto intensive, mia moglie è guarita. Prima ci siamo preparati alla morte di mia moglie e poi alla vita, quando ci dissero dopo cinque anni che era guarita. Insieme abbiamo superato questo straordinario percorso. Negli anni siamo stati chiamati ad una “essenzialità di vita” che ci ha portati a non dimenticare ciò che accadeva in Algeria, in Palestina, in Africa e in tanti altri psti. E in questi anni la carrozzina è diventata un grande strumento di comunione e non di separazione. Ragazzi era impossibile che un disabile si sposasse e che un disabile andasse in giro per il mondo per la pace. E invece nulla è impossibile a Dio. Dio opera in questo spazio, sulle frontiere dell’impossibile. Ragazzi riflettete sul vostro sguardo verso l’altro, verso un disabile. Potrebbe essere che il Signore bussa alla vostra porta e potrebbe essere l’inizio di un cammino straordinario. Ricordatevi esistono tre famiglie: di Betlemme, di Nazareth e della Croce. Quella di Nazareth era una famiglia tranquilla dove Giuseppe faceva il falegname e Maria andava al pozzo a prendere l’acqua. Quella di Betlemme era un po’ più inquieta perché il primo sangue versato nei Vangeli è stato il sangue dei bambini e infine quella della Croce.

Le nostre famiglie sono molto sgangherate. Ma il Signore ci chiama a guarirle. Io e mia moglie abbiamo pregato tanto. Il Signore ci ha chiesto molto, a volte troppo. Ma la forza della nostra vita è stata l’obbedienza e il silenzio. Oggi questo spazio viene molto ridotto. Ma senza questo spazio non si vive>>.

E l’invito ai tendopolisti: <<Volete vivere bene nelle vostre famiglie? Accettate la sfida dei poveri e dei disabili. Consideratelo un dono specialissimo del Signore. Uscite da voi stessi e apritevi all’altro, perché se non lo conosciamo ci ripieghiamo nell’egoismo. Quando pensate alle vostre ferite e alle vostre malattie guardate i poveri. I poveri ci permettono di capire meglio le nostre fatiche e le nostre difficoltà. Mettete al centro della vostra vita il disabile, il malato, l’affamato, l’assetato, il senzatetto, il più piccolo e troverete Dio>>.

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