Presentiamo di seguito alcuni spunti dalla tavola rotonda Periferie, un'opportunità! del 21 agosto 2014. Partecipanti: don Antonio Rizzolo (direttore di JESUS), don Daniele Simonazzi, dott. Claudio Loccioni (imprenditore), dott. Marco Gianneschi (commercialista), prof. Massimiliano Cordeschi (docente di economia dei mercati finanziari internazionali alla Luiss).

 

Introduzione di Don Antonio Rizzolo, direttore Jesus e rivista Credere (moderatore)

"Periferia" è un termine  diventato famoso grazie a Papa Francesco. Lo usa spesso, esortando a uscire dalla comodità e a percorrere le periferie della vita e delle città. La Chiesa deve arrivare a tutti senza distinzione, ma deve privilegiare i poveri e gli infermi, i disprezzati e i dimenticati. Deve avere le porte aperte, non tanto per entrarvi bensì per poter uscire e andare incontro a tutti. Usciamo a portare a tutti la Chiesa di Gesù Cristo. Gesù è nato in una povera grotta, è vissuto in una città che non è neanche menzionata nell'antico testamento. Cristo è nato in periferia e chi abita in periferia è destinatario del Vangelo che diventa luce e salvezza. Così quei luoghi si trasformano in vita e opportunità, in un grembo di Dio che genera vita nel travaglio di tutti i giorni. Soprattutto per i giovani di cui oggi tutti parlano. Tutti vi fanno riferimento, sono preoccupati eppure sembra che la loro attenzione si limiti alle parole. La disoccupazione supera il 50 per cento. Parlano, parlano, ma gli adulti non accettano di essere considerati adulti. Vogliono essere considerati giovani. E allora, qual è il posto dei giovani veri? Di quelle persone in divenire  che sono in un certo senso periferia, in cui c'è la possibilità di generare vita e futuro soprattutto attraverso il Vangelo?

La domanda che rivolgo a questa tavola rotonda è quindi: Partendo dall'esperienza di ciascuno, quali sono oggi le periferie? C'è ancora speranza per il futuro e per i giovani?

"Gesù va in periferia e convoca i bisognosi al centro"

Intervento di Don Daniele Simonazzi

La speranza c'è ed ha un grande e valore. Si manifesta quando qualcuno ci chiede qualcosa. Non è cosa da poco chiedere a Gesù di avere pietà. Incontrare qualcuno che ci chiede di condividere la sua vita significa essere destinatari di un grosso atto di fiducia. È quello che dice il Vangelo: c'è un uomo con una mano inaridita e tutti si chiedono se Gesù lo guarirà di sabato. Gesù gli dice di mettersi nel mezzo della folla. Chi di noi fa in modo che le persone bisognose si sentano al centro? Nessuno conosce il cinese, nessuno l'arabo per favorire l'integrazione. Chi di noi è in grado di interessarsi a un malato mentale? Chi ha imparato l'inglese così bene da farsi capire dalle ragazze nigeriane e portare loro il Vangelo in strada? Gesù va in periferia e convoca i bisognosi al centro. E non chiede a qualcun altro come risolvere il problema della mano inaridita. Lui chiede se sia bene o male mettere al centro l'uomo con la mano inaridita. Chiede se gli esseri umani abbiano o meno la facoltà, il diritto, di decidere se sia bene o male stabilire il destino dell'uomo messo al centro.

Non è detto che noi facciamo bene ai poveri. Non vanno mai banalizzate le esigenze della povera gente. I poveri non sono contenitori di prestazioni. Non possiamo scegliere di servirli ma dobbiamo fare in modo di essere scelti da loro per servirli. Ipotizziamo che il signore convochi al centro un cinti o un Roma e che chieda: "come risolviamo il problema dei dei Rom?" In molti ci hanno pensato e discusso. Ma Cristo, davanti a un popolo convocato al centro, diverso dal nostro anche per il rapporto coi beni, ci chiede: "Voi come siete messi nel rapporto con i beni? Con chi confrontate il tenore della vostra povertà? Chi è che è in grado di stabilirlo se non i poveri stessi? Quante volte leghiamo il servizio che prestiamo ai mezzi e ai soldi che ci sono per farlo?" Non si è servi se non si è poveri. La povertà è la capacità di condividere. Siamo poveri l'uno dell'altro perché l'uno riconosca  di essere la ricchezza dell'altro. La povertà non chiede una soluzione, ma una riflessione su se stessi.

La società ci porta a chiedere la testa dei profeti di cui temono l'incontro. Ci porta ad imparare a danzare per poter chiedere la testa dei poveri, dei profeti che sono tali perché soli. Cosa direbbero i vostri amici se frequentaste i poveri, i carcerati, i residenti degli Opg? Vi chiederebbero la loro testa.

La vera domanda, di fronte al povero messo al centro, è: "Come sono messo io con la povertà? Come sono messo io con l'obbedienza? Come con l'accoglienza?". Gesù dice all'uomo "stendi la mano" perché non si può pretendere che i poveri siano al passo con al nostra carità lenta.

 

"Finanza etica come opportunità"

Intervento del dott. Marco Ginanneschi, commercialista, 39 anni

Per rendere le periferie un'opportunità c'è bisogno di mettere l'uomo al centro della nostra attenzione. Papa Francesco ci dice di fare opere di misericordia, ma di farle con misericordia. Si sente parlare tanto di ASSISTENZIALISMO e delle sue politiche fallite. Questo perché  è il servizio a essere messo al centro e non l'uomo. Ci sarebbe invece bisogno di ASSISTENZA che permetta all'uomo di crescere e di farlo insieme all'altro, che dia all'uomo gli strumenti per la sua autosufficienza: non dargli il pesce ma insegnargli a pescare. E l'opportunità deve essere rivolta soprattutto ai giovani, dandogli strumenti per crescere. Uno di questi potrebbe essere la finanza, considerata per anni un mostro con scopi affaristici e egoistici. Eppure potrebbe essere uno strumento di crescita per il miglioramento sano e produttivo di tutti gli operatori economici. Pensiamo al micro credito del terzo mondo: nasce in periferia, ma si sta diffondendo anche in occidente.

Finanza etica è creare fondi comuni per lo sviluppo dell'ambiente, della cultura e della cooperazione internazionale. Sono tutti strumenti destinati ai giovani e al dare loro opportunità. Si tratta di settori in espansione: negli ultimi anni è cresciuto il no profit e nei prossimi lo stesso accadrà per la finanza etica. Crea alleanze educative, avvicina le periferie e le unisce nel superamento delle distinzioni. Si parte così dalla cultura e si arriva alla pratica.

 

"Partire dalla periferia per ritornarci"

Intervento del Dott. Claudio Loccioni, imprenditore, tendopolista

Negli anni '60, mio padre aveva una casa in campagna, senza acqua. A lui, a 16 anni, toccava portare gli animali a bere. Poi, facendo da sè, trovò il modo di far arrivare l'acqua in casa e abbeverare lì gli animali. Gli altri contadini gli chiesero di farlo alle loro case e così nacque il nostro gruppo. Con una nuova opportunità in periferia. Oggi giriamo le periferie del mondo, con grandi e importanti clienti, e portiamo la nostra tecnologia. Anche la mia vita ha le sue radici in periferia. Vengo da un paese di 800 abitanti dove ho frequentato le scuole elementari e medie. Poi il liceo a Jesi. Un quinquennio abbastanza sofferto durante il quale ho vissuto l'esperienza della Tendopoli. A portarmi in Tendopoli è stata mia sorella, che per prima aveva iniziato ad andarci. La vedevo cantare continuamente anche dopo due mesi dal suo ritorno, mantenendo tutti i contatti e le amicizie che si era fatta a San Gabriele.  Dopo la scuola, poi, la periferia iniziò a starmi stretta. Mi iscrissi a ingegneria e poi decisi di fare un erasmus in Spagna, girando il mondo, scoprendo la città, ma restando con le radici salde. Ho suonato il violino con un'orchestra di giovani, ho imparato a tagliarmi i capelli, a gestire i pochi soldi della borsa di studio. Poi sono andato in Olanda perché la città mi era piaciuta, forte delle mie radici. Mi sono messo a fare ricerca in campo medico con persone provenienti da tutto il mondo e di diverse culture. Poi partii per la Germania, dove iniziai a lavorare circondato di diverse culture, un nucleo vario un po' come quello interregionale della Tendopoli.

Nel 2004 tornai in periferia per riflettere: avevo una sfida aperta con me stesso "se mi laureo, vado fare il cammino di Santiago". Così partii e anche lì incontrai un nucleo internazionale. Dopo il cammino, a Cuba ho sperimentato il volontariato tra le ragazze madri e i più bisognosi. Lì ho incontrato persone disposte a raccontarti le loro cose e la loro storia e ho trovato culture e culti diversi.

Poi sono tornato a casa: mi mancava mia madre e le radici e oggi lavoro in campo medico nell'ospedale di Ancona. Il mio gruppo di lavoro si è inventato un sistema per preparare con macchinari alcuni farmaci per le cure oncologiche. E oggi, girando  il mondo e l'Italia per raccogliere novità e innovazione, ho capito che avendo esempi, radici, esperienze, le cose succedono. Non bisogna lasciare spazio alla disperazione, nè al disfattismo: lavoro e speranza per i giovani ci sono e sono vivi. Basta dare un senso alle cose che si fanno.

 

"L'utopia è che il ricco capisca che c'è chi ha e chi non ha"

Intervento del Prof. Massimiliano Cordeschi, docente di economia dei mercati finanziari internazionali alla Luiss

Vorrei esporre il concetto di periferia in maniera semplice e sulla base della mia esperienza. E vorrei riflettere su due cose: economia e finanza vanno più veloci di politica e storia. La velocità dell'economia cinese sta colonizzando l'Africa e "periferia" è un concetto limitante perché può indicare quella del mondo o quella di una piccola città. Per capire la direzione del mondo, però, si sa che si deve seguire la direzione dei soldi. Condivido il concetto e l'importanza della povertà ma sono consapevole che mai succederà che tutti saremo poveri. L'utopia è che il ricco capisca che c'è chi ha e chi non ha, perché è normale che anche il lavoro possa portare frutto. Non è saggio che chi è ricco si impoverisca, ma che chi è ricco si accorga che c'è chi non ha nulla. Le persone cattive fanno più rumore, ma ci sono tante persone buone, tanti ricchi che danno e aiutano e creano lavoro. Il contrario sarebbe antistorico. L'unica cosa che va e che anticipa i tempi è la musica. Le integrazioni della periferia partono dalle interazioni della gente povera. Chi avrebbe mai saputo dov'è la Giamaica se non ci fosse stato Bob Marley?

Oggi le azioni di società quotate a Wall Street sono tutte di secondo livello rispetto a quei nuovi mercati che arrivano dalle periferie. Non c'è più interesse per i mercati antichi. Lo speculatore vero oggi guadagna su mercati come quello del sud est asiatico, efficiente e produttivo. Quindi, oggi, cos'è la periferia? È un luogo o è fatta di relazioni? Si può ripartire dalla periferia aiutandola, ma si può ripartire dalla periferia soprattutto essendo consapevoli che oggi è una zona economicamente più fruttuosa. Quelle che ieri erano considerate periferie, oggi sono il centro della vita economica. La periferia non è un luogo geografico, non uno spazio fisico, ma soprattutto è un'opportunità.