{saudioplayer}http://www.lachiesa.it/liturgia/allegati/mp3/AO150.mp3{/saudioplayer}

“viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore…”

In prima battuta, il problema non è tanto comprendere o meno il seme della Parola, ma desiderare di comprendere e vivere di questo desiderio, di volere Dio, sopra ogni cosa. Questo è il senso radicale di questa parabola meravigliosa di Gesù. La comprensione della Parola infatti non sempre è immediata, anzi il più delle volte avviene nel tempo per ruminazione e meditazione costante. Ciò che conta è la necessità e il desiderio all’ascolto. Quando manca questo desiderio oppure il desiderio si è affievolito, allora entra il maligno per disperdere e distrarre continuamente su ciò che non è fondamentale e non è la parte migliore.

La “terra buona” dell'ascolto non è solo un dono ma una coltivazione costante di quelle caratteristiche necessarie per averla e custodirla. E’ un lavoro previo sulla nostra capacità umana di ascoltare e di fare silenzio; di essere umili, assetati di Dio e non distratti dalle mille dissipazioni e dalle proccupazioni. In una parola la “terra buona” è la nostra capacità di essere reali e autentici. La “terra buona” nasce e cresce dal nostro desiderio di rompere, tagliare con il peccato. E’ il terreno buono che chiama le cose per nome e non si scandalizza delle proprie debolezze ma le accoglie e le combatte alla luce dello Spirito di Dio. Infatti il terreno non accogliente e “non buono” è in definitiva il terreno che manca di realismo, di autenticità e onestà del cuore. E’ il terreno che vive di ipocrisie e di sotterfugi, di connivenze con il peccato e con le abitudini che conducono al peccato.

Un terreno carico di avarizie e di accidie di ogni tipo, talvolta mascherato ad arte da un velo di spiritualità o di impegno sociale. Il terreno buono, invece, quello che desideria Dio come l’aria da respirare, fa fruttare la Parola, la fa germogliare, fruttificare, crescere. E rende fecondi non solo se stessi ma tutti i fratelli e le sorelle che incontra. Non trattiene nulla per sé ma tutto ri-dona a coLui che tutto ha donato. Con gioia, senza vanto, sapendo di amministrare un tesoro di cui si è custodi e non proprietari.

La “terra buona” produce frutti che non vanno alla terra ma a coloro che hanno “fame e sete di giustizia”. L’unica fame che porta all’autenticità e alla piena realizzazione dell’uomo; perché Cristo stesso è la giustizia, la bellezza e la gioia di Dio.

Paolo Curtaz