Presentiamo di seguito alcuni spunti dalla conferenza Abitare le periferie dei giovani che don Michele Falabretti, Direttore del Servizio nazionale per la Pastorale Giovanile, ha tenuto in tendopoli il 20 agosto 2014.

 

Quando ho visto il tema della Tendopoli sono andato in difficoltà. Il Papa ha usato una bellissima espressione quando ha parlato di periferie. Ma va usata con delicatezza. Tutti parlano di periferie, è una parola che  sembra risolvere tutto e invece significa mille altre cose. Una parola che ci richiama concetti non semplici, cerco di usarla meno possibile anche se affascinante.

Fin da piccolo mi sono chiesto:"Perché Dio non l'ha fatta un po' più semplice?" La vita avrebbe potuto essere meno faticosa. Perché Dio non ha proiettato un bel film sul cielo come fosse una pellicola, magari  spiegandoci tutto: cosa fossero  il nascere, il morire, il soffrire, l'innamorarsi? Perché non ci ha raccontato tutto una volta per tutte?"
Ha scelto un'altra strada: la vita, la persona e la storia di Gesù. Uno che é vissuto 33 anni e di cui conosciamo solo gli ultimi tre. Ha fatto tutto quello che facciamo noi: è stato un bambino in difficoltà, è fuggito dall'Egitto come oggi fuggono i profughi e arrivano sulle nostre coste. Li vediamo viaggiare in gommone e ci chiediamo perché non restano nella loro terra.

 

Gesù è un profugo sin dalle prime ore: non c'era posto per lui. Rientra, va a Nazareth, un buco, la periferia dell'impero. Lì impara tutto: come mangiare, pensare e parlare. Tutti i passaggi di un'infanzia normale. Avrà ascoltato qualche maestra a scuola, anche annoiandosi. E adolescente si sarà innamorato, si sarà chiesto cosa fare della vita, avrà avuto gli amici, avrà fatto qualche scherzo, avrà avuto qualche corteggiatrice. Poi passa il tempo, quello in cui cuce la sua vita e la tiene insieme, costruendola.
Dai tre anni successivi riusciamo poi a capire cosa è successo prima. Capiamo che Dio ha voluto entrare nella nostra vita attraverso Gesù, capiamo che la vita non si costruisce in due ore e che il senso dell'esistenza va scoperto da soli, un po'alla volta.

 

Esempio Luca 19, Gerico e Zaccheo

Gerico è una città bellissima: nel Vangeno è associata sempre a qualcosa di straordinario. È una periferia dal doppio valore, è una periferia di lusso.  Era ricca per pochi, povera per i più. È strana perché sembra arida ma sotto c'è così tanta acqua che la frutta ė enorme. Sembra calda, ma ci si può rinfrescare, è deserto ma ha oasi e palme. È come la vita dell'uomo, che sembra vuota ma ha un tesoro da tirare fuori. E Gesù va proprio lì, nel luogo più basso della terra. Lì ha messo i suoi piedi perché tutti potessero sapere che sono collegati al centro, che tutti possono risalire. È il gioco del su e giù, della morte e della resurrezione:  Zaccheo sale, Gesù dice "scendi". Così le periferie, considerate luogo basso delle nostre vite, si possono  tirar su. Papa Francesco, venendo dalla periferia del mondo, ci fa girare lo sguardo, ci dà un'altra prospettiva. Per vivere davvero è necessario andare in periferia, toccare i punti più nascosti  della nostra esistenza.

 

Quando Dio va in periferia incontra qualcuno e gli cambia la vita. È lì che le persone trovano la felicità. Il Papa parlava di periferie esistenziali e l'esistenza ha luoghi più visibili e luoghi più nascosti. La periferia va quindi guardata in questi due modi: attraverso se stessi e attraverso gli altri.

 

Periferia dal greco significa "portare verso il centro", sta attorno ma è collegata. Oggi le periferie sono spesso luoghi di degrado, soprattutto nelle grandi metropoli come le grandi fabbriche di Milano. Ma che rapporto c'è con il centro?

1. Ciò che sta attorno a noi, non vuol dire andare per forza lontano. Vivere le periferia significa accorgersi che attorno a noi ci sono persone e situazioni che fanno fatica a stare collegati con il centro, dove si forma la vita, e creare con loro relazione.

2. Periferie dentro di noi. Abbiamo tutti un centro storico:  mamma, papà e la nostra infanzia. A questo pensiamo quando vogliamo sicurezza e amore. Lì Troviamo gli affetti e la certezza della nostra esistenza. Ma poi ci sono anche le periferie. Tutti abbiamo fatto tentativi non riusciti, abbiamo abitato luoghi e relazioni che poi abbiamo abbandonato. Abbiamo cercato affetti che non abbiamo trovato. Costruito storie e percorsi di vita, di studio e lavoro da cui siamo tornati indietro. Sono tutti pezzi di storia più o meno lunghi che non consideriamo centro ma che sono comunque parte della nostra  storia. Sono le nostre periferie, che ci fanno paura. Chi vive la periferia cerca di riconciliarsi con la propria vita e non considera il fallimento come distruzione o come una cosa da dimenticare. Gesù passa nelle nostre periferie e ci dice di non aver paura e di ricominciare. I suoi trent'anni gli hanno permesso di capire chi siamo noi e chi dovremmo essere, restituendoci il suo insegnamento. Fosse per noi distruggeremmo le periferie ma Gesù non butta via niente recupera tutto e ci dice che tutto può essere trasformato in bene, in vita, in futuro.

Giovani, vi viene mai il dubbio di star sbagliando nella vita? I nostri dubbi ci spaventano, ma ragionare sulle periferie della nostra vita in questi termini significa ragionare in termini di speranza. Significa anche non rassegnarsi alla mediocrità e avere curiosità e intelligenza. Impiegarle per creare relazioni e affetto, ricucendo così le periferie e cogliendo i due bisogni essenziali dei giovani. L'ottica di fede è sapere di essere abitati da Dio e non rassegnarsi alla mediocrità. Le nostre periferie sono mediocrità ma noi non ci rassegniamo . Ci alziamo dalla pianta e decidiamo: da oggi sarà diverso. Con calma, prendendoci il tempo che serve. Bisogna Vivere pensando di non dover tagliare. Per rendere fecondo un luogo bisogna portare affetti e relazioni. Gesù fa scendere zaccheo perché gli vuole bene, lo chiama per nome, crea una relazione. Anche quando siamo nel nostro piccolo, dobbiamo pensare in grande. Non cediamo al vizio italiano di piangersi addosso. C'è il signore che passa. Dobbiamo coinvolgere e non pensare di stare da soli. Anche nelle parrocchie dove ci sembra che nulla funzioni.